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120 dai ghiacciai dell'adamello


Condino riceve le sue granate quotidiane con quell’aria desolata, esterrefatta e lugubre che hanno i paesi abbandonati nelle zone del fuoco dove, fra le case e per le piccole vie pittoresche la solitudine e il silenzio acquistano una pesantezza tragica. Da ogni porta esala come un alito di angoscia, e pare di sentire nelle abitazioni vuote il senso di un’atroce attesa. Da lontano sembrano vivi questi villaggi. Condino, con le sue case bianche, appare pieno di una campestre gaiezza. Quando vi si entra, l’immobilità di ogni cosa produce una non so quale impressione di gelo, come se l’ombra dei muri raccogliesse un’atmosfera di morte.

Poco più oltre, Cimego; più lontano Castello. Abbandonati anche loro vedono strisciare lungo le case le pattuglie austriache. Questo silenzio, così sinistro nei paeselli, dove inconsciamente noi tendiamo l’orecchio alle voci, è dolce all’aperto. Nella mattinata limpida, sotto al gran sole, la valle è festosa.


Nelle acque del Chiese è un brulicare rosato di soldati che si bagnano e si levano dai loro gruppi canzoni e risate. Altrove si lavora. Si lavora con una letizia che mette in noi una serenità indicibile. Si fanno baraccamenti per l’inverno, si fanno strade, si fabbricano arnesi, si costruiscono persino slitte, che porteranno viveri e munizioni quando tutto questo verde sarà morto e i nevai saranno di-