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agli uliveti del garda 117


Sotto al gomito delle tubature, l’artiere alpino, attentamente, con una lentezza eroica, disponeva gli esplosivi, e con i sacchi di sabbia, messi tutto intorno, formava la camera di scoppio. Il tempo pareva eterno. Dal villaggio, occupato dagli austriaci, sono salite delle voci. Un cane ululava a cinquanta passi dai nostri, in una fattoria tutta buia. L’alpino minatore si muoveva senza rumore, studiosamente. Cinquanta minuti è durato il lavoro.

Riunitisi a qualche centinaio di metri dalla mina, i cinque soldati hanno aspettato immobili lo scoppio. L’esplosione è avvenuta senza fragore. È stato un tonfo sordo e profondo, seguito da uno scroscio violento di cateratta. La massa d’acqua irrompeva precipitosamente dalle tubature spezzate. Poco dopo essa arrivava con impeto al villaggio, inondandolo. Gli austriaci sono stati svegliati dalla piena negli accantonamenti e nelle tende, e un urlo immenso di terrore è salito dalla valle.

Senza una parola, sempre muti, gli alpini hanno ripreso la via del ritorno; hanno ripassato la linea degli avamposti austriaci in allarme; sono arrivati alla punta dell’alba all’accampamento, affranti di stanchezza e d’emozione.

L’ordine del silenzio era finito, ma uno di loro non parlava più. L’operaio, che aveva compiuto lo sforzo più grande di tensione e di volontà, aveva perduto la favella. Ed egli tace ancora, atono, stupefatto, quieto, avendo dato