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116 | dai ghiacciai dell'adamello |
per essere ben capita anche lei, fece due passi avanti. Così si ricorse alla sorte.
Si trattava di attraversare gli avamposti del nemico e di andare a lavorare fra i suoi accantonamenti. Per lunghi giorni i sentieri erano stati ricercati e studiati. Il piano dell’impresa era completo. Ognuno dei cinque aveva un compito preciso, stabilito prima. Alla partenza, l’ordine fu di non parlare fino al ritorno, di non aprire bocca qualunque cosa avvenisse.
I cinque muti lasciarono il campo in una notte di bufera, oscurissima. Discendevano per le forre del Martinel da sterpo in sterpo, quando si trovarono a qualche metro da una pattuglia austriaca. Aspettarono lungamente, immobili, coricati fra i rovi. La pattuglia austriaca passò.
Poco lontano dalle chiuse, i tubi dell’acqua facevano un gomito. Ogni soldato aveva sulle spalle dei sacchi di sabbia e un carico di gelatina esplosiva. Arrivati a quel punto, senza una parola, deposero tutto in terra. Quattro di loro si allontanarono in direzioni prestabilite e si sdraiarono vigilando. Rimase uno solo ad eseguire il lavoro di mina: l’operaio. La pioggia s’era calmata, e s’intravvedevano le nubi basse che fuggivano tumultuosamente verso il Garda. Una finestra illuminata, vicina, alle prime case di Molina, pareva spiare nella notte.