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brezze e di ostinazioni, trascinata e trattenuta da antiche immutabili idee.

Ecco, con le armi pronte il drappello prende il galoppo, e s’avanza compatto. È la carica. Il vento solleva burnus e fasce, leggeri lembi di rezza svolazzano sui turbanti, le lunghe code dei cavalli s’agitano nell’aria e le ricche gualdrappe e le martingale di seta battono le groppe. Scintillano le canne dei fucili ornate di anelli d’argento fra tutto quel rimescolìo confuso, abbacinante, che vola via come sospeso sul rapido aggrovigliamento delle zampe sottili e nervose dei cavalli, lasciando dietro di sè nubi grigie di polvere.

Le larghe staffe damaschinate battono a sangue i fianchi delle cavalcature, il galoppo s’accentua, diventa carriera. Sullo scalpitìo precipitoso degli zoccoli che pare un rombo, si leva l’urlo degli uomini il cui volto s’illumina d’una gioia feroce. Essi abbandonano le redini al pomo dell’arcione, guidano ora solo con la voce e con le ginocchia. Gettati indietro sulla sella, sollevano in alto i fucili, e li girano, li roteano, vogliono farsi più grandi con questi gesti, più minacciosi e terribili. Il nemico è vicino.

Ad un tratto tutti i fucili s’abbassano ad un tempo; è un attimo; parte la scarica, e nembi di fumo bianco e denso scivolano via lievi, rasenti la terra, per svanire lontano come una diafana cavalcata di fantasmi. I cavalli conoscono la manovra; all’udire il colpo si fermano da loro, di scatto, con uno sforzo che talvolta fiacca loro il petto, e, rivoltatisi in una mossa d’impennata, tornano al galoppo, coperti di sudore, la bocca schiumante, l’occhio sanguigno.

Il ritorno è disordinato. I cavalieri non curano più il loro portamento. Fuggono. Curvi sull’arcione lavorano di bacchetta e di stoppaccio per ricaricare i fucili, battono la mano sul calcio per far scendere la polvere nella cunetta dell’accenditoio, sollevano la pietra focaia, abbassano l’acciarino, e intanto lasciano al cavallo la cura di condurli all’adunata, dove qualche minuto dopo tutti si ritrovano, si consultano, si schierano. E partono per un nuovo assalto.

I cavalli marocchini amano il laab el-barud quanto i loro padroni. Vi trovano un misterioso piacere come il poney inglese