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di guerra; la cavalleria marocchina non conosce altro esercizio ed altro passatempo. Qui combattono così; la battaglia è una fantasia e la "fantasia" è una battaglia.
In guerra, con dei fucili primitivi il cui tiro è incerto e la portata minima, i marocchini debbono far fuoco a corto, avvicinare il nemico a pochi passi; questa pericolosa accostata deve essere rapida, ed è fatta con un galoppo furibondo. Eseguita la scarica, l’abilità consiste nel fermare di colpo il cavallo e tornare indietro a spron battuto per sottrarsi veloci alla risposta nemica, e ricaricare le armi al sicuro = cosa che richiede un certo tempo. Con il fucile marocchino, la skobita (skobita forse dallo spagnolo escopeta), chi ha fatto fuoco è disarmato e deve fuggire. Il combattimento consiste dunque in una serie di assalti veementi e di ritirate precipitose, in un va e vieni di schiere galoppanti; i due avversari s’inseguono volta a volta a seconda che hanno la skobita carica o scarica. La "fantasia" il laab el-barud, riproduce le fasi di questa lotta singolare, sopra un nemico immaginario.
È uno spettacolo superbo.
Lo spirito di un popolo si rivela nella battaglia. E noi sentiamo nella "fantasia" l’anima strana del Marocco con le sue foghe e le sue fughe, ardente e cauta, piena di eb-