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sicura la sua libertà. In un paese come questo si spiega la poligamia. Essa permette delle figliolanze inaudite e crea rapidamente intorno al padre schiere di giovani guerrieri. Mulei Ismail ebbe più di ottocento figli maschi! L’harem diventa una forza. Esso è un elemento di conquista; forma delle unità di combattimento.

Nelle città, dove la popolazione ha preso un assetto definitivo e non può più crescere, e non vuol più crescere, la poligamia ha perduto ogni ragione di essere e si corrompe; il gineceo non è più che un luogo di piacere, nel quale spesso manca la vivificante e sana espansione dell’infanzia. Ma fra le rudi genti della campagna l’harem è un vivaio di giovinezze, e conserva una primitiva biblica onestà per la quale ogni donna non ha altro orgoglio ed altra fierezza che l’essere madre.

La poligamia è stato il gran bene e il gran male dei popoli dell’Islam. Fece di loro degli emigratori, degli invasori e dei dominatori. L’accrescersi rapidissimo delle famiglie si riversava su nuove terre, i figli si spingevano avanti, ed era così la parte più ardente e più viva del popolo che apriva la strada come è la lava più incandescente e fluida che precede le colate sui fianchi d’un vulcano. La spinta era irresistibile, e si formò quella gran marcia araba che fu arrestata solo sotto le mura di Tolosa e di Tours. Ma quando questi popoli si fermarono mancò loro la donna: essi non avevano che la femmina.

Questa mancanza che li aveva fatti vincitori, li fece vinti.

Non esiste la donna nella società musulmana; l’harem l’ha segregata, cioè radiata; la vista del suo volto è stata decretata pericolo sociale; ogni donna che esce dai suoi recinti è una specie di “maschera di ferro”, condannata da