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su delle stanghe di legno per attirare gli sguardi, ed essere così al tempo stesso, mercanzia e insegna. Si vendevano stoffe d’Alkazar che i passanti palpavano con aria da conoscitori, si vendevano ricami di Fez, babbucce di Tetuan, cuoi di Marrakesh, tappeti di Dar El-Baida.... Poco lontano, nel quartiere della Kasbah, tutto era solitudine e silenzio.
Vi sono nelle città marocchine di questi singolari contrasti; ogni rione ha le sue caratteristiche, la sua fisionomia, il suo scopo. Si volta un angolo e ci si trova in un mondo diverso. Il quartiere della Kasbah, a Laraishe, non ha negozi, non ha mercati, è il quartiere ufficiale, la sede del Governo. Vicoli oscuri e deserti nei quali il raro passante sembra farsi cauto, spiazzi silenziosi, porte moresche che s’aprono in anditi bui dai quali emana un profumo d’incensi, mura alte e bianche, e poi la fortezza dai bastioni di pietra sgretolati, dalle merlature cadenti popolate da cicogne immobili che meditano gravemente tenendosi con dignità sopra un solo piede, e al di là un antico cimitero arabo fra rovi e cardi sull’orlo dei fossati: ecco il quartiere della Kasbah che ho attraversato per tornare alla Bab El-Behar.
Un’ora dopo lasciavo con Laraishe e col mare ogni vestigia e ogni contatto dell’Europa. Attraversati gli orti e gli aranceti olezzanti che circondano la città, volgevo direttamente verso l’interno, per pianure sterpose e per colline coperte di boschi, nei quali risuona talvolta, alla notte, il solitario ruggito della pantera.