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biade come sotto la carezza d’una gran mano invisibile. I contadini solennemente arano piccoli campi con biblici aratri; e delle cicogne li seguono passo passo familiarmente lungo il solco lieve, beccando i vermi con una certa loro aria comicamente riflessiva e magistrale che le fa sembrare dei severi censori intenti ad una accurata ispezione del lavoro umano. Ma allontanandosi dalla città cessano i villaggi, e non si incontrano più che pochi duar arrampicati sulle colline in posizioni strategiche.

I duar sono accampamenti nomadi di tende tessute con pelo di cammello e fibra di palma. La loro disposizione risponde ad una necessità di difesa. Le tende sono piantate in giro, circondate ognuna da siepi di sterpi o di cardi secchi, e tutto il duar è cinto da una zeriba. Alla notte il bestiame comune è rinchiuso nel mezzo, le sentinelle vigilano dietro alla zeriba, e i cani — d’una razza nella quale il sangue del lupo si mescola ancora — lasciati liberi fuori del duar, abbaiano furiosamente all’appressarsi di un uomo o di una fiera. In poche ore si è risaliti alle origini della società umana.

Sulla campagna soleggiata si vedono rari pastori immobili, appoggiati con grazia statuaria al lungo fucile, i quali sorvegliano mandrie di piccoli buoi fulvi ed irsuti, e greggi di pecore lanose, simili a batuffoli bianchi con un muso nero ed ebete.

Sul bordo dei fiumi, ombrosi e cupi boschetti di antichi olivi selvaggi offrono riposi deliziosi alle carovane, ed ognuno di essi è conosciuto con un nome che parla di leggende o di storie dimenticate: Bosco dei due Re, Bosco del Sonno,