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la vita nomade, la libertà, le lunghe marcie, i fornelli scavati fra l’erba, sotto alla tenda aperta ai venti i quali portano lontano, per la campagna vergine, l’odore degli intingoli. Se trova da occuparsi in qualche casa, egli scappa dopo una settimana e riprende il suo vagabondaggio. Ed anche in una carovana, se una parola lo offende, egli sparisce, sia pure in mezzo al deserto, e lascia in asso paga e casseruole. Naturalmente io lo trattavo con una deferenza in proporzione della sua suscettibilità, ed ogni volta che gli ero vicino gli chiedevo, anzi gli urlavo perchè è un po’ sordo:

Ebbene, Alì, siete contento?

Tutto va bene, signore, per la grazia di Allah! – rispondeva sorridendo.

E provavo la vile gioia di chi ha dissipato ogni dubbio relativo al proprio pranzo.

Il resto della carovana era composto di quattro mulattieri e di un giovane armato di fucile, il quale formava la retroguardia, e prendeva la sua parte molto sul serio.

Tutta questa gente correva e urlava al fianco delle bestie, cantava talvolta in coro dei versetti del Corano – la Fatiha, – e nei passi difficili invocava a gran voce Mulei Idris, il fondatore di Fez e della dinastia degli Idrissiti, divenuto un gran santo islamitico e speciale protettore dei viaggiatori.

Da lontano, col suo biancheggiare di gellabe e di tarbush fra le erbe alte, in mezzo all’oscillare confuso delle grandi some coperte di tappeti, e l’agitazione della scorta berbera, e il luccicare delle armi, la carovana non mancava d’una certa pittoresca imponenza; ma, con tutta la protezione di Mulei Idris e le mie premure, procedeva molto lentamente sfilando giù per i greti e serpeggiando nelle vallette del Khlot.

Il Khlot è un labirinto di colline.

Il Khlot. Non è facile definire questa regione nella quale si faranno forse le prime prove della coltivazione europea. La terra marocchina si allunga e si assottiglia verso la Spagna; forma una vera penisola che ha l’Atlantico da una parte e il Mediterraneo dall’altra. Nella penisola s’ingolfa un tu-