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mente non vi sono che dei derubati. Se si battessero sul serio, i marocchini non esisterebbero più.
È per questo che a Tangeri nessuno fa caso ai colpi di fucile, e in mezzo a tante lotte gli arabi non perdono la loro ingenua fan ciullesca gaiezza. Più volte alla sera 10 ero chiamato alla finestra da suoni di ginbri, di pifferi, di cornamuse, da rulli di tabil, da canti, e assistevo al passag gio d’una folla eb bra di gioia le cui danze tumultuose, costrette fra i muri della strada angu sta e profonda, fa cevano pensare ai gorghi d’un torrente umano. Gli arabi festeggiavano l’Asciura, 1l carnevale marocchino che comincia al decimo giorno del mese del Moharrem. Oscillando sulle spalle della calca, arrestandosi nei punti più angusti, passava il bsath, un edificio di carta trasparente, vivamente illuminato all’interno, raffigurante una moschea con le sue cupole e i suoi archi. I riflessi del bsath correvano sui muri delle case, guizzavano sul turbinìo della folla, in mezzo alla quale degli uomini con la faccia coperta da un orrendo simulacro di volto umano, intagliato in foglie d’aloe, s’agitavano nel parossismo d’un ballo selvaggio. Il corteggio s’ingolfava nei vicoli, la confusione si spegneva nei tenebrosi passaggi dei cavalcavia, poi i bagliori della bsath illuminavano a tratti, come vampate d’incendio, delle sommità d’edifici lontani, salivano verso la città araba facendo balzar fuori dal buio, una ad una, tetre muraglie senza finestre, bianche e cieche. Dopo queste visioni d’altre epoche le grandi ombre dei piroscafi, distese sulle acque della rada, punteggiate di lampade elettriche, producevano a