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di Tito Lucrezio Lib. I. 25

     Sappi poi che de’ Corpi altri son primi,
     Altri si fan per l’union di questi;
     Ma quei, che primi son, da forza alcuna
     640Dissipar non si ponno: ogni grand’urto
     Frena la lor sodezza, ancorchè paja
     Duro a creder, che nulla al Mondo possa
     Trovarsi mai d’impenetrabil corpo.
     Passa il Fulmin celeste, allor che Giove
     645Ver noi l’avventa, entro le chiuse mura,
     Come i gridi e le voci. Il ferro stesso
     S’arroventa nel foco: entro il crudele
     Bollor fervido al fin spezzansi i sassi:
     Un soverchio calor l’oro dissolve:
     650Del bronzo il ghiaccio una gran fiamma strugge:
     Penetra per l’argento il caldo, e ’l freddo,
     Poichè avvinchiando con la mano il nappo,
     E versandovi dentro il dolce vino,
     L’un, e l’altro da noi tosto si sente:
     655Sì par, che tra le cose ancor che sode,
     Nulla sia mai d’impenetrabil corpo.
     Ma, perchè la ragion della natura
     Non pertanto ne sforza, or tu m’ascolta;
     Mentre che in pochi versi esser ti mostro
     660Materia impenetrabil’, ed eterna.
Pria: se varia del corpo è la natura
     Dall’essenza del luogo, e fassi ’l tutto,
     Com’i nostri argomenti han già convinto,