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24 di Tito Lucrezio Lib. I.

     610Ma dalle sole cose il senso cava
     Il passato, il presente, ed il futuro;
     Nè può capirsi separato il tempo
     Dal moto delle cose, e dalla quiete.
     Nè dic’alcun che la Tindarea prole
     615Da Paride rubata al Duce Argivo,
     E ’l superbo Ilione arso e consunto
     Forse parrà; ch’a confessar ne sforzi,
     Che tai cose per se fossero al Mondo,
     Mentre l’età trascorsa irrevocabile
     620I secoli di quelli ormai n’ha tolto,
     Che ad eventi sì rei furon soggetti;
     Poichè di ciò che fassi, altro può dirsi
     De’ paesi accidente, altro de’ corpi.
     Che se stato non fosse il seme e il luogo,
     625Onde si forma, e dove ha vita il tutto,
     Non avrebbe giammai d’amore il foco
     Per la rara beltà d’Elena acceso
     Nel Frigio petto suscitar potuto
     Il chiaro incendio di sì cruda guerra;
     630Nè il gran destrier del traditor Sinone
     Co ’l notturno suo parto avria distrutto
     Della Nobil Città le mura eccelse.
     Onde conoscer puoi, che l’opre altrui
     Non son per sè conforme il Corpo, e ’l Vuoto;
     635Ma più tosto a ragion debbon chiamarsi
     O de’ corpi accidenti o de’ paesi.