Dunque se di due cose eguali in mole
L’una più lieve fia, chiaro n’insegna
D’aver manco di corpo, e più di Vuoto. 505Ma se più grave pe ’l contrario mostra
D’aver manco di Vuoto, e più di corpo,
Che sia dunque tra i corpi il Vuoto sparso,
Benchè mal noto a’ nostri sensi infermi,
Per l’addotte ragioni è chiaro e certo. 510Nè qui vogl’io che deviar dal vero
Ti possa mai quel, che sognaro alcuni;
E perciò quanto io parlo ascolta, e nota.
Dicon, che ’l mare allo squamoso armento
Apre l’umide vie, perch’egli a tergo 515Spazio si lascia, ove concorron l’onde,
E che in guisa simile ogn’altra cosa
Mover si puote, e cangiar sito e luogo;
Ma falso è ciò, ch’ove’ potranno al fine
I pesci andar, se non dà luogo il mare? 520E dove al fin, se non dan luogo i pesci,
Il mar n’andrà, benchè cedente e molle?
Forz’è dunque o privar di moto i corpi,
O fra le cose mescolare il Vuoto,
Che sia cagion de’ movimenti loro. 525S’al fin due piastre di lucente acciaro
Si combattano insieme, ind’in un tratto
L’una dall’altra si solleva, è d’uopo,
Che vuoto resti l’interposto spazio;