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di Tito Lucrezio Lib. IV. 235

     1420Quasi dati alla fuga, infin che scosso
     Ogn’inganno primier tornino in loro.
     Ma le razze sollecite de’ cani
     Delle mandre custodi, e degli alberghi,
     Quasi abbian visto di rapace lupo
     1425L’odiata presenza, o di notturno
     Ladro il sembiante sconosciuto, spesso
     S’affrettano di cacciar dagli occhi i levi
     Lor sonni incerti, e di rizzarsi in piede,
     E quanto son di più scabrosi e rozzi
     1430Atomi intesti, tanto più commossi
     D’uopo è, che siano, e tormentati in sogno.
     Quindi la plebe de’ minuti augelli
     Suol repente fuggirsi, e paurosa
     Turbar con l’ali a ciel notturno i boschi
     1435Sagri a’ rustici Dei, qualor sepolta
     In piacevole sonno a tergo avere
     Le par di smergo audace il rostro ingordo.
     Ma che fan poi negl’improvvisi e grandi
     Moti gli animi umani? Essi per certo
     1440Fan sovente gran cose. Espugnan regi,
     Son presi, attaccan guerra, alzan gridando
     Le voci al ciel, quasi nemico acciajo
     Vivi gli scanni. Altri combatte e sparge
     Di pianto il suol, di gemiti e sospiri
     1445L’aria; e quasi pantera, o fier leone
     Digiun lo sbrani, empie di strida il tutto