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di Tito Lucrezio Lib. IV. 229

     Mover le membra; e da qual urto il grave
     Pondo del nostro corpo impulso e moto
     1260Abbia, vo’ dir: tu quel, ch’io dico, ascolta.
L’effigie pria d’andar fassi alla mente
     Incontro, e la percote: indi si crea
     La volontà, poichè nessun non piglia
     Mai nulla a far, se no ’l prevede e vuole
     1265L’animo in pria: ma senza dubbio è d’uopo,
     Che di ciò ch’ei prevede, i simolacri
     Gli sian già noti e manifesti. Adunque
     Tosto che dall’immagini è commossa
     La mente in guisa tal, che stabilito
     1270Abbia di gir, fiede il vigor dell’alma,
     Ch’è diviso e disperso in tutto il corpo,
     E pe’ nervi, e pe’ muscoli: nè questo
     È difficile a far; poichè congiunto
     L’uno è con l’altro: indi ’l vigor predetto
     1275Ne percote le membra, e così tutta
     Spinta è la mole a poco a poco e mossa.
     In oltre allor d’ogni animale il corpo
     Divien molto più raro; e come deve,
     L’aria, che sempre per natura è mobile,
     1280Largamente vi penetra, e per tutte
     Le sue minime parti si diffonde:
     E quindi avvien, che qual naviglio urtato
     Dalle vele, e da’ venti, il corpo nostro
     Per due cause congiunte al fin si more.


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