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di Tito Lucrezio Lib. IV. 203

     Opra è della ragion, nè posson gli occhi
     Mai delle cose investigar l’essenza.
     Onde non voler tu questo difetto,
     Che solo è del consiglio, ingiustamente
     560A gli occhi artribuir. Ferma ne sembra
     La nave, che ci porta, ancorchè voli
     Per l’alto a piene vele. Ir giureresti
     L’immobil lido, e verso poppa i colli:
     Fuggirsi, e i campi, allor che spinto innanzi
     565Dalle forze del vento il curvo pino
     Indietro se gli lascia. Ogni astro immoto
     Parne, e dell’etra alle caverne affisso;
     E pure astro non v’è, che irrequieta
     Munte non giri. Conciossiachè tutti
     570Sorgendo, i lunghi cerchj a veder tornano
     Tosto che i globi lor chiari e lucenti
     Han misurato il ciel. Nel modo stesso
     Par, che il sol non si mova, e che la luna
     Stia ferma; e pur chiaro ne mostra il fatto,
     575Ch’ambi con giro assiduo ognor passeggiano
     I gran campi dell’etra: e se da lungi
     Miri di mezzo al mar monti sublimi
     Disgiunti in guisa, ch’all’intere armate
     Navali sia fra lor l’esito aperto;
     580Nondimen ti parrà, che tutt’insieme
     Facciano una sol’isola. A’ fanciulli,
     Che già cessato han di girare attorno,