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di Tito Lucrezio Lib. IV. 197

     In oltre, allor che tu maneggi un sasso
     395Tocchi di lui la superficie estrema,
     E l’estremo color; ma già non puoi
     Sentir quella, nè questo, anzi la sola
     Durezza sua ti si fa nota al tatto.
Or via, perchè l’immago oltre allo specchio
     400Si vegga, intendi. Che remota al certo
     Apparisce ogni effigie, in quella guisa
     Che fan gli oggetti, i quai veracemente
     Si miran fuor di casa, allor che l’uscio
     Libero per se stesso, e aperto il varco
     405Concede al guardo nostro, e fa, che molte
     Cose lungi da noi scorger si ponno.
     Conciossiachè per doppio aer procede
     Anco questa veduta. Il primo è quello,
     Ch’è dentro all’uscio, indi a sinistra, e a destra
     410Seguon l’imposte. Indi la luce esterna
     Gli occhi ne terge, e ’l second’aere, e tutte
     Le cose, che di fuor veracemente
     Son da noi viste. In cotal guisa adunque
     Tosto che dello specchio il simolacro
     415Per lo mezzo si lancia, allorch’ei viene
     Ver le nostre pupille, agita e scaccia
     Tutto l’aer frapposto, e fa, che prima
     Veggiam lui, che lo specchio. Indi si scorge
     Lo specchio stesso, e nel medesmo istante
     420Percote in lui la nostra effigie e tosto


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