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192 di Tito Lucrezio Lib. IV.

     D’atra e nera caligine s’ammanta,
     260Che ne par, che le tenebre profonde
     Del cupo e cieco abisso abbandonando
     Le lor sedi natie tutte in un punto,
     E fuor volando ad eclizzar le stelle,
     Ripiene abbian del ciel l’ampie spelonche:
     265Tal già sorta di nembi orrida notte,
     Veggiam d’atro terror compagne eterne
     Spalancate nel ciel fauci infiammate
     Eruttar verso noi fulmini ardenti;
     E pur quanto di ciò picciola parte
     270Sia l’immago, uom non è, che basti appieno
     A dire altrui, nè con parole possa
     Render di cosa tal ragione alcuna.
Or via, quanto l’immagini nel corso
     Celeri siano, e quanta in lor prontezza,
     275Mentre nuotan per l’aure, abbiano al moto;
     Sicchè in brev’ora, ovunque il volo indrizzino,
     Spinte da vario impulso un lungo spazio
     Passino, io con soavi, e dolci versi,
     Piucchè con molti, di narrarti intendo:
     280Qual più grato è de’ Cigni il canto umìle
     Del gridar, che le Grue fan tra le nubi,
     Se i gran campi dell’aria austro conturba.
Pria sovente veggiam, che assai veloce
     Movimento han le cose, i cui principj
     285Interni atomi son lisci e minuti;