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di Tito Lucrezio Lib. V. 63

     Facultosi menar placida vita:
     1665In van, poichè salir tentando al sommo
     Grado, ed onor, tutto di spine, e bronchi
     Trovar pieno il viaggio, ove al fin giunti,
     Spesso dal sommo ciel nell’imo abisso
     L’invidia, quasi fulmine, gettolli
     1670Con dispregio, e con scherno. Ond’io per l’uomo
     Stimo assai meglio un ubbidir quieto,
     Che un voler con l’impero a varie genti
     Dar leggi, e sostener scettri, e diademi.
Lascia pur dunque omai, ch’altri s’affanni
     1675In van sangue sudando, e per l’angusto
     Calle dell’ambizion corra, e s’aggiri;
     Poichè, quasi da fulmine, percossi
     Dall’invidia, cader sogliono a terra
     Quei, che son più degli altri eccelsi e grandi:
     1680Che sol per l’altrui bocca ad esser saggi
     Apprendono, e gli onor chieggon piuttosto
     Mossi a ciò far dalle parole udite,
     Che da’ proprj lor sensi. E non è questo
     Più or, nè sarà poi, che fosse innanzi.
1685Quindi ucciso ogni re sossopra omai
     Giacea l’antica maestà del soglio,
     E gli scettri superbi, e del sovrano
     Capo il diadema illustre intriso, e lordo
     Di polvere, e di sangue or sotto i piedi
     1690Piangea del volgo il suo regale onore: