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di Tito Lucrezio Lib. V. 61

     1610Chiaman l’acque, e le piogge, e i venti, e l’aure,
     Dunque se gli animali, ancorchè muti,
     Spinti da varj sensi ebbero in sorte
     Di formar varie voci, e varj suoni,
     Quanto è più ragionevole che l’uomo
     1615Potesse allor con altri nomi, ed altri
     Altre, ed altre appellar cose difformi?
Acciò poi, che tu sappia in qual maniera
     Ebber gli uomini ’l foco: il fulmin prima
     Portollo in terra; indi ogni ardor si sparse.
     1620Poichè molte veggiam cose incitate
     Dalle fiamme del ciel ardere intorno
     Là, ’ve caldi vapori erran per l’aure:
     E pur se vacillante, allor che il fiero
     Soffio di borea impetuoso, o d’austro
     1625Scuote, e squassa le selve, a’ rami appoggia
     D’antica pianta antica pianta ai rami,
     Spesso avvien, ch’eccitata, e fuori espressa
     Dal fregar violento al fin s’accende
     Fiamma che sfavillando alluma il bosco;
     1630Mentre tronco con tronco in varie guise
     S’urta a vicenda, e si consuma, e stritola:
     Il che dar similmente a noi mortali
     Poteo le fiamme. A cocer quindi il cibo
     Co’ suoi caldi vapori, ed ammollirlo
     1635L’aureo sol n’insegnò; poichè percosse
     Molte da’ vivi suoi raggi lucenti