1610Chiaman l’acque, e le piogge, e i venti, e l’aure,
Dunque se gli animali, ancorchè muti,
Spinti da varj sensi ebbero in sorte
Di formar varie voci, e varj suoni,
Quanto è più ragionevole che l’uomo 1615Potesse allor con altri nomi, ed altri
Altre, ed altre appellar cose difformi?
Acciò poi, che tu sappia in qual maniera
Ebber gli uomini ’l foco: il fulmin prima
Portollo in terra; indi ogni ardor si sparse. 1620Poichè molte veggiam cose incitate
Dalle fiamme del ciel ardere intorno
Là, ’ve caldi vapori erran per l’aure:
E pur se vacillante, allor che il fiero
Soffio di borea impetuoso, o d’austro 1625Scuote, e squassa le selve, a’ rami appoggia
D’antica pianta antica pianta ai rami,
Spesso avvien, ch’eccitata, e fuori espressa
Dal fregar violento al fin s’accende
Fiamma che sfavillando alluma il bosco; 1630Mentre tronco con tronco in varie guise
S’urta a vicenda, e si consuma, e stritola:
Il che dar similmente a noi mortali
Poteo le fiamme. A cocer quindi il cibo
Co’ suoi caldi vapori, ed ammollirlo 1635L’aureo sol n’insegnò; poichè percosse
Molte da’ vivi suoi raggi lucenti