Esser dunque anco può, che l’aer nostro
Da picciol foco, onde risplende il sole,
Di cocenti fervori arda, se tanto
Per se stesso è disposto, e così pronto, 910Che per debili ardor possa infiammarsi:
Qual talvolta le biade arder ne’ campi,
E la stoppa veggiam, benchè una sola
Favilla l’accendesse, e fumo e fiamma
D’ogn’intorno eruttar. Forse anche il sole 915Splendendo in ciel con la rosata lampa
Molto di fervor cieco a sè d’intorno
Fuoco possiede, il qual non luce; e quindi
Può de’ fulgidi rai tanto robuste
Render le calorifiche percosse. 920Nè chiara appar, nè semplice, nè certa
La cagion, donde il sol dall’orbe estivo
Giunga al flesso brumal d’Egocerote;
E quinc’indietro ritornando il corso
Dal cancro indrizzi al solstizial confine: 925E come in un sol mese il giro stesso
Compir sembri la luna, in cui si logora
Dal sole un anno. Or la cagion di queste
Cose, torno a ridirti, una, nè certa
Assegnar non si dee: ch’esser ben puote 930Qual del grande Adderita il saggio e santo
Parer già fu, che quanto più vicini
Son gli astri a noi, tanto men ratti e mobili