Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/39


di Tito Lucrezio Lib. V. 25

     Qual de’ Greci poeti anticamente
     Cantar l’inclite trombe in ciò bugiarde,
     Poichè vincer può il foco, ove più corpi
     Della materia sua dall’infinito
     640Sorti assalgon l’umor; quindi o le forze
     Dal lor contrario rintuzzate, e dome
     Caggiono, o dall’ardenti aure abbruciate
     Muojon le cose. E similmente è fama,
     Che un tempo anche l’umor fosse a vicenda
     645Dominatore, allor che i fiumi uscendo
     Fuor dell’alveo natio molte sommersero
     Ampie terre, e città: ma poi ch’indietro
     Il nemico vigor dall’infinito
     Sorto, per qualche causa il piè ritrasse,
     650Fur le piogge affrenate, e in un represso
     L’orgoglio, e il corso impetuoso a fiumi.
Ma io come degli atomi il concorso
     Fondasse il cielo, il terren globo, il mare,
     La luna, e il sol, racconterotti, o Memmio;
     655Che certo è ben, che i genitali corpi
     Con sagace consiglio, e scaltramente
     Non s’allogar per ordine, nè certo
     Seppe nessun di lor, che moti ei desse.
     Ma perchè molti primi semi in molti
     660Modi fur già per infinito tempo
     Da colpi innumerabili percossi,
     E da propri lor pesi ebbero in sorte