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di Tito Lucrezio Lib. V. 19

     475Vinto al fin non si mira? E l’alte rocche
     Non rovinano a terra? E il duro sasso
     Non è roso e marcisce? E l’are, e i templi
     De’ Numi eterni, e i simolacri, e gl’Idoli
     Non vacillan già lassi, e d’ogn’intorno
     480Mostrano aperto il travagliato fianco?
     Nè può la santa Maestà del Fato
     Debellare i confin, nè fars’incontra
     Di natura alle leggi, e violarle.
     Al fin non veggiam noi d’ogni uomo illustre
     485Ceder l’alte memorie, ed invecchiarsi
     Per subito accidente? e le robuste
     Selci da’ monti alpestri anco alle volte
     Staccarsi, e rovinar, nè d’un finito
     Tempo soffrir le smisurate forze?
     490Con ciò sia che staccarsi e in giù repente
     Non potrebber cader, se dell’etade
     Fin da tempo infinito ogni urto, ogn’impeto
     Prive d’ogni fragor sofferto avessero.
Al fin mira oggi mai ciò che d’intorno
     495N’è sopra, e il terren globo abbraccia e stringe;
     E com’altri han creduto, eternamente
     Sol di se pasce, e in se riceve il tutto.
     Tutto è nativo, e di mortal sostanza
     Formato: conciossiachè ciò che nutre
     500Di se le cose, e l’augumenta, è d’uopo,


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