475Vinto al fin non si mira? E l’alte rocche
Non rovinano a terra? E il duro sasso
Non è roso e marcisce? E l’are, e i templi
De’ Numi eterni, e i simolacri, e gl’Idoli
Non vacillan già lassi, e d’ogn’intorno 480Mostrano aperto il travagliato fianco?
Nè può la santa Maestà del Fato
Debellare i confin, nè fars’incontra
Di natura alle leggi, e violarle.
Al fin non veggiam noi d’ogni uomo illustre 485Ceder l’alte memorie, ed invecchiarsi
Per subito accidente? e le robuste
Selci da’ monti alpestri anco alle volte
Staccarsi, e rovinar, nè d’un finito
Tempo soffrir le smisurate forze? 490Con ciò sia che staccarsi e in giù repente
Non potrebber cader, se dell’etade
Fin da tempo infinito ogni urto, ogn’impeto
Prive d’ogni fragor sofferto avessero.
Al fin mira oggi mai ciò che d’intorno 495N’è sopra, e il terren globo abbraccia e stringe;
E com’altri han creduto, eternamente
Sol di se pasce, e in se riceve il tutto.
Tutto è nativo, e di mortal sostanza
Formato: conciossiachè ciò che nutre 500Di se le cose, e l’augumenta, è d’uopo,