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236 Lib. V. Prologo.

     Udir le favolucce, ch’Esopèe,
     Non più d’Esopo appello; ei fu di poche.
     Dietro a sua scorta io son di molte autore:
     Nuovo è il racconto, è la materia antica.
     15Se tu sovente, che sei meco erede,
     Le legga, e quanto a lui piace, le roda,
     Se non puote imitarlo, atro livore.
     Che tu, ch’altri a te egual, ne’scritti suoi
     Le mie baje frammetta, e degno m’abbia
     20Di lunga fama; assai di lode ottenni.
     De’ Dotti il plauso di ritrarne io bramo.


IL POETA.

SE in avvenir d’Esopo il nome incontri;
     Poichè a lui diedi ciò ch’io dar dovea,
     Perchè stima s’accresca a l’opra, il posi.
     Siccome avvien, ch’a tempi nostri aggiugnete
     5Pregio al lavor se qualche artier desia,
     Prasitele nel marmo ne fa autore,
     Ne l’argento Miron. Mordace invidia,
     Anzi che un buon presente, i morti estolle.
     Ma cotal favoletta s’incominci.