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EPILOGO

A L’ingegno d’Esopo eresse Atene,
     Un simulacro, e in base eterna un Servo
     Pose, perchè si veggia, che Virtude,
     Non chiarezza di sangue onore arreca.
     Quantunque ne la gloria e’ mi prevenne,
     Pur questo ottenni almen, ch’ei sol non fosse;
     Nè ciò livor, emulazion mi spinse.
     Che se il Lazio mie cure e approvi, e onori,
     Ei molti avrà da star co’ Greci a fronte.
     Se condannarmi invidia imprenda; il merto
     Fra se stessa a approvar sarà costretta.
     Se poi tue orecchie il mio lavor diletti,
     E a rilevar pervenga l’opra mia,
     Le querele a sbandir ciò fia bastante.
     Se cada in man di quei, cui ria natura,
     De’ buoni a roder l’opre a vita trasse,
     Costante il soffrirò; finchè conosca
     Fortuna il suo delitto, e rossor n’abbia.



Il Fine del Libro Secondo.