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di Tito Lucrezio Lib. VI. 145

     Noja a noja aggiungendo, e duolo a duolo.
     Nè di soverchio ardor fervide alcuno
     Avea l’estime parti, anzi ’n toccarle
     Tepide si sentian: di quasi inuste
     1695Ulcere rossegiante era per tutto
     L’infermo corpo; in quella guisa appunto,
     Che suole allor che per le membra il sacro
     Foco si sparge: ardea nel petto intanto
     Divorante le viscere una fiamma:
     1700Nello stomaco ardea quasi un’accesa
     Fornace, sì che non potean le membra,
     Fuorchè la nudità, nulla soffrire,
     Benchè tenue e leggiero: al vento, al freddo
     Volontarj esponeansi: altri di loro
     1705Nell’onde algenti si lanciar de’ fiumi:
     Molti precipitosi a bocca aperta
     Si gettavan ne’ pozzi: era sì intensa
     La sete, che immergea gli aridi corpi
     Insaziabilmente entro le fredde
     1710Acque; che breve stilla all’arse fauci
     Parean gli ampj torrenti. Alcuna requie
     Non avea il mal: stanchi giacean gl’infermi:
     Timida l’arte Macaonia, e mesta
     Non s’ardia favellar. L’intere notti
     1715Privi affatto di sonno i lumi ardenti
     Stralunavan degli occhi, ed altri molti
     Davan segni di morte: era dell’alma

            di Tito Lucr. Caro T. II.    K