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di Tito Lucrezio Lib. VI. 141

     Tai, che il cavo dell’uno al pien dell’altro
     S’adatti insieme; uniti ottimamente
     1585Stanno; ed anch’esser può, ch’abbiano alcuni,
     Altri principj lor, quasi in anelli
     Curvati, e a foggia d’ami, e quindi accaggia,
     Che s’avvinchin l’un l’altro, il che succedere
     Dee, più che a nulla, a questa pietra, e al ferro.
1590Or qual sia la cagion, che i fieri morbi
     Reca, ed onde repente, appena insorto,
     Possa il cieco velen d’orrida peste
     Strage tanto mortifera all’umano
     Germe arrecar, non che a gli armenti, e a’ greggi,
     1595Brevemente dirotti. In prima adunque
     Sai, che già t’insegnammo esser vitali
     All’uom molti principj; ed all’incontro
     Morbo anche molti cagionare, e morte.
     Questi poi che volando a caso insorti
     1600Forte il ciel conturbar, rendono infetto
     L’aere, e quindi vien poi tutto il veleno
     De’ morbi, e del contagio, o per di fuori
     Come veggon le nuvole, e le nebbie
     Pe ’l ciel cacciate dal soffiar de’ venti;
     1605O dalla stessa terra umida, e marcia
     Per piogge, e soli intempestivi insorto
     Spira, e vola per l’aria, e la corrompe.
     Forse non vedi ancor tosto infermarsi
     Per novità di clima, e d’aria, e d’acqua