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di Tito Lucrezio Lib. VI. 113

     Squassato, allor che d’acque in ampio e vasto
     Lago per troppa età dall’imo svelta
     Ruotola immensa zolla; in quella stessa
     830Guisa che fermo star non puote un vaso
     In terra, se l’umor prima non resta
     D’esser commosso dentro il dubbio flutto.
     In oltre allor che d’una parte il vento
     Ne’ cavi chiostri sotterranei accolto
     835Stendesi, e furioso, e ribellante
     Preme con gran vigor l’alte spelonche,
     Tosto là, ’ve di lui l’impeto incalza,
     Scosso è il van della grotta, e sopra terra
     Tremano allor gli alti edificj; e quanto
     840Più sublime ognun d’essi al ciel s’estolle,
     Tanto inchinato più verso la stessa
     Parte sospinto di cader minaccia;
     E scommessa ogni trave altrui sovrasta
     Già pronta a rovinar. Temon le genti
     845Sì, che dell’ampio mondo al vasto corpo
     Credon, ch’omai vicino alcun fatale
     Tempo sia, che ’l dissolva, e il tutto torni
     Nel caos cieco, una sì fatta mole
     Veggendo sovrastar. Che se il respiro
     850Fosse al vento intercetto, alcuna cosa
     No ’l potria ritener nè dall’estremo
     Precipizio ritrar quando vi corre;
     Ma perch’egli ail’incontro alternamente

            di Tito Lucr. Caro T. II.    H