Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/116

102 di Tito Lucrezio Lib. VI.

     Del fulmine a colpir van delle cose
     530Ne’ contesti principj, e insieme avvinti.
     Dissolve poi sì facilmente il rame,
     E il ferro, e il bronzo, e l’or fervido rende;
     Perchè l’impeto suo fatto è di corpi
     Piccioli, e mobilissimi, e di lisci,
     535E rotondi elementi, i quai t’insinuano
     Con somma agevolezza, e insinuati
     Sciolgon repente i duri lacci, e tutti
     Dell’interna testura i nodi allentano.
Ma viepiù nell’autunno i templi eccelsi
     540Del ciel di stelle tremule, e splendenti
     Squassansi d’ogn’intorno, e tutta l’ampia
     Terra, allor the ridente il colle, e il prato
     Di ben mille color s’orna, e dipinge.
     Conciossiachè nel freddo il foco manca,
     545Nel caldo il vento; e di sì denso corpo
     Le nuvole non son. Ne’ tempi adunque
     Di mezzo, allor del folgore, e del tuono
     Le varie cause in un concorron tutte,
     Che lo stretto dell’anno insieme mesce
     550Co ’l freddo il caldo; e ben d’entrambi è d’uopo
     I fulmini a produrre, acciò che nasca
     Grave rissa e discordia, e furibondo
     Con terribil tumulto il cielo ondeggi
     E dal vento agitato, e dalle fiamme:
     555Che del caldo il principio, e il fin del pigro