Suon tra le fiamme strepitando scoppi,
Quanto i delfici lauri a Febo sacri.
Al fin d’acerba grandine, e di gelo 235Un fragor violento, e un precipizio
Spesso nell’alte nubi alto rimbomba;
Che allor che il vento gli condensa, e gli empie,
Frangonsi ’n luogo angusto eccelsi monti
Di grandinosi nembi in gelo accolti. 240Folgora similmente, allor che scossi
Vengon dagli urti dell’avverse nubi
Molti semi di foco; in quella guisa
Che se pietra è da pietra, o da temprato
Acciar percossa, un chiaro lume intorno 245Sparge, e vive di foco auree scintille.
Ma pria che a’ nostri orecchi arrivi ’l tuono,
Veggon gli occhi ’l balen; perchè più tardo
Moto han sempre i principj atti a commovere
L’udito, che la vista; il che ben puossi 250Quindi ancora imparar: che se da lungi
Vedi con la bipenne un tronco busto
Spezzar d’albero annoso, il colpo miri
Pria che ’l suon tu ne senta. Or nello stesso
Modo a gli occhi eziandio giunge il baleno 255Pria che ’l tuono all’orecchie; ancorch’il tuono
Sia vibrato co ’l folgore, e con lui
D’una causa prodotto, e d’un concorso.
Spesso avvien, che in tal guisa ancor si tinga