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lucifero


    Di pentelici marmi, in su la cima,
L’inconcusso delubro alto sorgea,
E d’opre egregie e sagrificj opima
Ivi ebbe l’ara la terribil dea:
245Fra l’argive falangi inclita e prima
Sovente essa l’invitta asta scotea;
E al lampo sol del venerando aspetto
Venía prode ogni vil, rupe ogni petto.

    Ma, se scevra dell’armi, ond’era onusta,
250Temprate in Lemno a le celesti incudi,
E libera dell’irto elmo l’augusta
Fronte splendea fuor dei funesti ludi,
Nell’alta d’Erettèo sede vetusta
Spirava il riso di men ferrei studi;
255E a l’ombra del vocal delfico alloro
Venían le Muse, e s’assidea fra loro.

    Tra i ruderi famosi e le dirute
Moli anch’ei venne un giorno il mio titano;
Pensieroso guardò l’are cadute
260E dell’abbandonata àgora il piano
E il monte del tremato Are e le mute
Stoe d’Academo e l’Erettèo sovrano;
E d’un dio su la testa infranta e nera
Umor versò, che nèttare non era.

    265Sorge la notte; ei là, presso al Pecile,
S’asside; Ebe è con lui. Sparuta e scema
Pende la luna, e sovra a la gentile
Bionda testa di lei sorride e trema.
Pensoso egli è più dell’usato stile;
270È in lei mestizia, oltre ogni dir, suprema;
Chè nuotando le vanno incerte e scure
Cento memorie in cor, cento paure.



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