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canto terzo

Cadde, e libò con voluttà plebea
225Il regio sangue di tue regie vene.
Rotolò nella polve il tuo parlante
Capo, e le voci balbettate a pena
Dalle labbra morenti entrâr nel petto
D’ogni re della terra, a cui mutato
230Parve il regno in abisso, in palco il trono.
Surse anch’ella e ruggì d’oltre l’Atlante
L’americana Libertà, che troppo
Sentì al collo pesar l’anglico giogo;
E tu primo ne udisti il grido orrendo,
235Redentor Vasintóno, a cui la spada
Sfolgoratrice d’assoluti imperi
Essa prima affidò. Scornata e vinta
L’altera Anglia soggiacque; e non le valse
Fulminar franchi orgogli e antenne ibere,
240Nè gli oceani domar, nè invitta e ferma
Durar su la contesa arce di Calpe,
Quando te non domò, te di nemici
Vincitore non pur, ma di te stesso.
Libertà allor sul grande istmo si assise
245Vittoríosa, e nelle immense braccia
Ad un patto d’amor le genti accolse.
    Sedea fra tanto una cortese e imbelle
Sovra il trono di Francia ombra di re:
Quinci un cortèo di pallide e lascive
250Fantasme, e incipriate ombre e superbi
Scheletri incappellati e rugginose
Armadure che si tenean diritte,
Come fosser guerrieri; e quindi un vasto,
Tumultuoso brulicar di vivi.
255Il re dicea: Stiam fermi, io son lo stato!
Ed il popolo: Avanti, eguali tutti!
Diceva il re: Pieghiam la fronte a Cristo;
E la plebe: Nè re, nè dio vogliamo:



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