Torreggi il corpo, e vigor cieco e bruto
A pugnar contro a tutti e a vincer basti.
Tal nel mondo è virtù, cui nè possanza
Di giganti trionfa, o adamantina 230Spada conquide, e solo alla modesta
Continua punta del pensier soggiace.
Rupe, cui dal natio fondo non svelse
Furor d’atre procelle, a poco a poco,
Morsa dal flutto che le geme intorno, 235Scemar vedi e cader: son rupe i Numi,
E il flutto assiduo del pensier li rode.
Così Giove fu vinto, e in simil guisa
Vinto sarà chi gli successe. Or odi
Quel ch’io feci e farò. Da una malnata 240Bordaglia rea, che da natura in dono
Ebbe al corpo la lebbra e al cor la fede,
Ièova ne venne, un implacato iddio,
A cui fulmine è il guardo e tuon la voce.
Solitario e funesto egli incombea 245Dal recesso del ciel plumbeo su’l petto
De’ tremanti mortali, e gran sepolcro
Di mal vivi era il mondo, a cui su’l capo,
Pria dell’ora, il fatal sasso si aggrevi.
Io nel cielo era ancor, bello di tutti 250Radíamenti. Era sorriso e luce,
Fragranze ed armonie del ciel la vita,
E, cullati in un mar d’ozj e di fiori,
Si tenean tutti e si dicean beati.
Sol io, spirito altero, indifferente 255A quell’aprile, a quel banchetto eterno,
Sentía nell’inquíeta anima un voto
Misterioso, un mar senza confine,
Come una solitudine infinita
D’intorno a me, dentro di me: se avessi 260Conosciuto l’amor, forse in cor mio