Però quel che Dio fu, quale ancor vive,
E quanto ebbe e mantiene all’uom soltanto
Il deve, all’uom che d’ogni suo destino,
O prospero o maligno, arbitro è solo. 160Chi a tiranno cotal, che, dal pensiero
Nato dell’uom, l’uomo asservir presunse
E le cose universe, il petto oppose
Con indomito orgoglio, e una selvaggia
Voce di libertà gittògli incontro, 165Sì che il ciel ne tremò? Chi la temuta
Prepossanza di Dio tenne equilibre
Con vitale agitar? Fu la feconda
Lite, che il mar dell’essere commove
Con assiduo flagello, e dai cozzanti 170Corpi la luce e l’armonia deriva.
Essa al pigro e ferrato Ordine, occulto
Padre di servitù, per fiero istinto,
Rubellossi da prima; essa al feroce
Andropòfago Iddio scosse la reggia 175Vigilata dai fulmini; e dal fiero
Cozzo con lui tanta favilla emerse,
Che, mutata dagli anni in fiamma viva,
Tutto divorerà de’ numi il regno.
O d’ogni libertà fonte primeva, 180Madre d’eccelse pugne, io ti saluto!
Tu co’l moto la vita, e co’l perenne
Fra le cose dell’alma intimo attrito
Luce dèsti e saper negl’intelletti
E co’l saper la libertà, sublime 185Pianta che sol dov’è coltura alligna.
Te dalla terra solitaria i saggi
Primamente avvisâr; te, spiratrice
Di terrigeni mostri a Dio rubelli,
Raffigurâro e coltivâr le genti, 190E or fosti Isi nomata, or Bahavàni,