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canto decimoquinto

Far impeto tentâr contro alle schiere
Del luminoso eroe; ma qual fremente
475Cavallon che si franga alla ronchiosa
Rupe, spezzate contro a lor cadeano
L’avverse armi e l’ardire. E come avviene
Nel nebbioso novembre, allor che in dense
Falde piovon dal ciel l’umide brume,
480E nereggian le vie, quasi colpite
D’occulta lue cadon le mosche esose,
Ch’or ti ronzan morenti in su la faccia,
Or sui fumidi cibi, onde all’intorno
Sparse e brutte ne van le mense e i letti;
485Così, al proceder dell’eroe, dall’alto
Fioccan morti i beati, e tu soltanto
Li ferivi co’l tuo sguardo immortale,
O tríonfante Verità. Fra tanto,
Con ogni forza ed ogni astuzia in salvo
490Ricondursi volean Sisto e Ghislieri,
Torquemada e Gusman. Li precedea,
Stranamente strillando e mulinando
Sovr’esso il capo la ghierata gruccia,
Il feroce Arbuense, e una mal viva
495Folta di Santi lor tenea bordone.
Li riconobber dall’opposta parte
Co’l profondo veggente occhio i campioni
Del libero Pensiero, e un minaccioso
Mormorio si levò, come di vento
500Precursor di procella. Ardean di cupo
Sdegno le generose anime, in quella
Che con flagel di sanguinosi motti
Mordea Voltèro ai fuggitivi il dorso.
Non però immoti nelle lor falangi
505Stetter Bruno e Vanini; anzi a quel modo
Che una coppia di fulve aquile, altere
Dominatrici di profonde altezze,



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