295Dell’umana ragion; ma quest’azzurro
Cielo e il tuo sommo sagrificio io giuro,
Ch’ella è presso a morire, e arbitra in terra
La ragion sederà; largo e securo
Spiegherà il vol su’ mal temuti errori 300Il redento intelletto; e allor che tutto
Ciò che vuole e che può senta e conosca,
Questo ignaro di sè dio della terra
Pago fia di sè stesso, ed oltre il vero
A cercar non andrà larve e paure! — 305Disse, e partía; ma lo rattenne un detto
Del pazíente Prometèo:
— S’hai grande
E pari, ei disse, agli alti accenti il core,
Deh, non partir così, quando m’hai dèsto
Tale un desio, che allo sperar somiglia. 310Molto io soffersi e soffro, e assai maggiore
Del mio soffrir fu la speranza, il tempo
Che co’ fulmini suoi Giove sedea
Sovra il trono d’Olimpo, e sul mio capo
Rovesciava ogni mal. Crescea cogli anni 315E col disprezzo mio la sua paura
E la sua crudeltà, però che immite
Più chi regna divien quanto più trema,
E dei fiacchi è virtù l’esser crudele.
Solo di tutti io l’avvenir vedea 320Serenamente, e della sua caduta
Presapeva il destin. Godi dei tuoi
Vani, aerei rimbombi, io gli dicea,
O spensierato usurpator del cielo;
Tal dall’Inachia stirpe uno stupendo 325Mostro verrà, che spezzerà il tuo scettro
Come fil non ritorto, e me da questi
Ceppi redimerà; nè ti varranno,
Credi, i fulmini allor, chè assai più salda