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canto decimoquinto

300Do la palma in quest’uopo alla divina
Prostituta di Màgdala); gli abbracci
Supplicante i ginocchi, e sì lo svolga
Per qualche istante da ogni fier concetto,
Che all’amplesso fallace ei si abbandoni
305In una molle voluttà. Noi, quanti
Qui siamo ancor d’armi o d’ingegno instrutti,
A lui d’intorno in vigilanti agguati
Tutti pronti staremci; e quando il fiero
Debellator di Dio dall’iterate
310Pugne d’amor giacerà stanco e assòrto
Nel più codardo e immemore abbandono,
Noi piomberemgli in un baleno addosso
Come stuol d’avvoltoi; di ferrei nodi
L’avvinceremo; e poi che osceno e carco
315Sarà tutto di ceppi e di ferite,
Tal gli darem di tutto polso un crollo,
Che i neri abissi e il regno suo riveda! —
Piacque a tutti il consiglio, e alàcri e pronti
Diêrsi all’opera intorno, in simiglianza
320D’immondo strupo di codarde jene,
Che, fatte ardite dal favor dell’ombre,
Mute s’affrettan pe’l deserto campo
Dietro al sentore di lontan carcame.
    Contro alle sedi dei Celesti intanto
325Lucifero irrompea. Dell’abusate
Porte del ciel stava a custodia il divo
Pietro di Galilea, l’inclito alunno
Del Nazzaren, pastor d’anime e chiave
Del paradiso. Udita avea la voce
330Del nemico imminente; e ben che molto
Fosse d’uomini esperto e di fortune,
Pur sentì scioglier le ginocchia, e a guisa
Di fragil canna, che tentenni al vento,
Ondeggiava diviso in due consigli:



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