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canto decimoquinto

    Come all’odor di ramerino o timo,
165Onor vago dei campi e amor dell’api,
Ruzzan gli agili gatti, e senton forse
Un amoroso stimolo, che il sangue
Fieramente gli assilla, onde su l’erba
Stropicciando il supin dorso flessibile
170Con dolce miagolío chiaman l’amica;
Così, all’esempio del lor duce e al viso
De la santa pulzella, arsero i petti
Dei celesti guerrieri, e nulla ancora
Dell’instante rovina conoscendo,
175Si sparpagliaron clamorosi, e l’armi
Dissuete per via disseminando,
Si diederro a saltar liberi in caccia
D’auree fanciulle e morbidi angeletti.
    Mentre così, del lor destino ignari,
180Dansi questi bel tempo, entro alla cupa
Anima del Lojola un serpeggiante
Pensier guizzò. La macera persona
Raddrizzò a un tratto, e con volpina voce
Chiamò quanti nel cielo erano in pregio
185Di sagace accortezza, e a lui ben atti
Parvero all’uopo: il Montaltese, obliquo
Mastro di frodolente opere; il santo
Conversor di Gusman, la cui parola
Scrisse co’l sangue il masnadier Monforte;
190L’atroce Torquemada, anima acuta
Qual furtivo pugnal, che negli umani
Petti s’infisse ad indagar la fede;
Il ferino inventor d’ogni tormento
Manigoldo Arbuense; il pio Ghislieri
195Tessitore di stragi, ed altri, a cui
Negò voce la fama. Eran costoro,
Poichè del fato avverso eransi accorti,
Tutti intesi a raccòr per le fulgenti



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