Un fremito, un fragore, una ruína 410Terribile s’udía, mentre il solingo
Ginevrin, precedendo, iva due faci
Sanguinose agitando, e come strale
Il riso di Voltèro il ciel fendea.
Dall’altra parte, in cupa nebbia assorti, 415Vengon color, che il falso al ver mescendo
Con sagace pensier, norme e governi
Persuasero ai popoli, ritrosi
Ad ogni culto di civil commercio.
Da l’aurifero Gange, in simiglianza 420Di marmorea colonna, ergeasi al cielo
Il vetusto Manava; ed eran seco,
Co’l ben veggente istitutor dei Parsi, Trismegisto e Confucio, e quei che miti
Dettò leggi ai Fenicj, esimia gente 425Domatrice del mare ed il flessanime
Germe di Clio, trionfator di traci
Belve e dell’Orco, non di voi, gelose
Donne dell’Ebro, al cui baccar fu il biondo
Capo concesso e la parlante cetra, 430Non vivo il core a un solo amor devoto.
V’era inoltre Pompilio, anima ricca
Di scaltriti consigli, e finalmente,
Simile in tutto all’arabo Misèmi,
Il campato dall’acque astuto Ebreo. 435Videli appena dall’opposta parte
Di Malmèsburi il saggio, e li squadrando
Con traverso cipiglio:
— O voi di Numi
Fabbricatori e mercatanti, disse,
Qual maligno talento a noi vi mena 440In quest’ora di gloria e di vendetta?
Stolti! che al sommo socíal potere
Sovrapponeste un fiero idolo, al cui