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canto decimoquarto

Selve, così vi serbi intatte il nembo,
375Proteggete almen voi d’ombre cortesi
Le sacre, inonorate ossa del vostro
Vecchio Telesio! Accanto a lui, che tutto
Splendido in suo candor cheto s’inalza,
Freme e lampeggia il precursor di Nola,
380Dal cui fiero intelletto e dal cui rogo
Tanta infamia ebbe Roma e luce il mondo.
Ma forse il genio mio scorda il tuo nome,
Di Malmèsburi onor
? La tua bizzarra
Fronte, non io maledirò, se assisa
385Sovra il collo ai mortali in ferreo trono
Vedesti, autrice universal, la Forza.
Forse il dritto e il sapere, adamantino
Brando e scudo, di cui s’arma e difende
Per natura chi umano ebbe il sembiante,
390Forza eterna non è? Ben essa al volo
T’armò in tal guisa il prepossente ingegno,
Ch’oltre all’etra sorgendo, al vulgo illuso
Quinci gridasti: Un vuoto nome è Iddio!
Tal dall’Ande selvose al ciel sublime
395Lancia la poderosa ala il condòro,
E le nubi calpesta, ed orgoglioso
Dei voli suoi sfida stridendo i nembi.
    Ecco, appresso a costoro a cui d’intorno
Fa ressa e ondeggia una men chiara folta,
400Rompe un fiero drappello, a cui son duci
Diderotto ed Holbacco, incliti entrambi
Risvegliator di popoli; vien terzo
Elvezio, e quarto Volneí. Qual suole
All’improvviso infuríar d’un nembo
405Fendersi ai lampi il ciel, tremar la terra,
Crollare alberi e tetti, e scatenarsi
Dalle ripe con fiero èmpito i fiumi;
Così d’intorno alla tremenda schiera



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