Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/282


lucifero

Che il petto mio vago di luce, imperi!
L’amor mio non sei tu? L’idolo amato
160D’ogni speranza mia? L’ala e la possa
Del mio pensier? Deh! come fausto io deggio
Stimar l’auspicio, che da te mi viene
In quest’ora solenne! Ecco, già sento
Crescer lena al mio spirto; odo la voce
165Della terra e dei secoli, che chiama
Al gran giudizio Iddio! Non altrimenti
Che fosco immaginar d’egro intelletto
Della rosea salute al giovanile
Soffio si sperde, io sperderò le larve,
170Che ne usurpan dei chiari astri la sede:
Tutti i Numi cadranno; al ciel, da cui
Una fiera e tenace ira mi escluse,
Or mi solleva, e trionfante, Amore! —
    Ciò detto appena, una tal forza il prese,
175Che per lo spazio il sollevò, non punto
Dissimigliante a fuscellin, che avversa
Forza di calamita attira e regge;
Se non che, quanto più di contro al sole
Lucifero salía, tanto fra’ biondi
180Raggi del ben veggente astro la bella
Creatura d’amor veníagli appresso.
L’un si lasciava a tergo il montuoso
Arido aspetto della varia luna;
L’altra il denso Cillenio; e già alla vista
185Ridea d’entrambi l’acidalia stella,
Cara sempre ad Amor, sia che tra’ fiori
Del candido mattin splenda, e le piaccia
Di Lucifero il nome, o che tra’ rosei
Vespertini crepuscoli biancheggi
190Dagli amanti invocata, e più le giovi
Che il penoso mortale Espro l’appelli.
Qui s’incontrâr l’alme felici, e un’onda



— 278 —