D’ogni nobile ufficio. Immota e cieca 90Mole sarían le nostre membra, e inerte
Cosa il pensier senza di te: sembiante
A tardo bue, che il travaglioso ordigno
Del volubile bindolo raggira
Tutto il dì, senza posa, e non sa quanto 95Sgorghi tesoro dalla sua fatica.
Ma tu, di libertà padre, fai lieve
Ogni gravezza, ogni umiltà sublimi,
Ogn’inerzia dilegui, e di noi stessi
Conoscenza ne dài piena e sicura. 100Tu dell’etereo Sol, da cui proviene
Quanto è d’uopo alla vita, il più fecondo
Raggio in noi custodisci, ed una al chiaro
Conoscimento, che da lui si nacque,
Un ribelle ne infondi altero istinto, 105Per cui, divino matricida, a fronte
D’essa Natura l’uman genio irrompe
Con fiera sfida, e la tenzona a morte.
O solenni ardimenti, o generose
Pugne e vittorie senza fine, a cui 110Deve l’uomo mortal meno infelice
Vita nel mondo, e sol per cui si eterna!
Sovra la fossa, ov’ei tutto discende,
La memoria di lui sorge, e qual face
Da mille spere riprodotta in giro, 115Entro ai petti degli uomini risplende
Centuplicata, e si perpetua, e in guisa
Vive con noi, che, per superbo inganno,
Vita verace il ricordar si tiene
Ed anima immortal, ch’abiti altrove, 120La memoria che d’altri in noi risiede.
Ma del credulo gregge e dei fallaci
Ciurmadori dell’Arte e di Sofia
Scevre serbate voi le nuove genti,