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canto decimoterzo

Eran spettri e fantasmi, ed in quel sangue
Tutti tingendo fieramente il dito
Segnarono la fronte al morituro,
530E gridarono insiem: Sii maledetto!
    A quel tocco, a quel grido, immantinente
Si scosse, si agitò, tutto si storse
L’irto veglio, qual suol malaugurosa
Nottola dalle unghiate ali, qualora
535Dispietato monel con improvvisa
Canna l’abbatte, ed al nemico lume
L’appressa sì, ch’ella bestemmj e strida.
Ma qual putida ràzza, che di mano
Sguizzando al pescatore, agita al suolo
540Le acute pinne e la scabrosa coda,
Finch’egli irato la riprende, e sbatte
Contro un sasso, e l’acqueta nella morte;
Così fuor del lenzuol frigido a terra,
Dibattendo le flosce membra, piomba
545Il tormentato agonizzante; i gialli
Occhi stravolge, e mugola: Perdono!
    Sparîr gli spettri; su la fredda soglia
Lucifero comparve, e disse: È tardi!



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