Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/270


lucifero

Perdonando chi regna! Al generoso
Uopo s’applaude in pria; povero e scarso
Indi appare ogni don, però che ingordo
365È il cor di lui che a nullo bene è avvezzo:
Debito par la carità; diritto
La pretesa più stolta. Egual si tiene
A lascivo signor che la careggi
Meretrice proterva, e a lei somiglia
370L’avida plebe: oggi le dài l’anello,
Doman ti chiederà manto e corona;
Alza dal fango la servil cervice,
Spezza il fren, rompe il cheto ordine, invade
L’altrui poter, dritti e doveri ingombra,
375Tal che, sconvolto il socíal congegno,
Divien chi serve re, servo chi regna.
No, no: perde chi cede. Uom che securo
Tien l’alta riva, io non dirò che il senno
Abbia intero, se al torbido torrente
380Perigliando abbandonasi. Tal fui
Un solo istante, e n’ho rabbia e rimorso:
Nel reo vulgo ebbi fede; osai l’esempio
D’Alessandro imitar!
                          — Del pari infido,
Ma più debole fosti!
                          — E qual mercede
385N’ebbi dal mondo? Risvegliai l’orrenda
Idra dormente al piede mio; potea
Schiacciarla, e la svegliai. Stolto! i suoi primi
Sibili e i morsi avvelenati io primo
Sperimentai: mira qual sono!
                                        — Accusa
390L’alma tua poca e infida. Esser potevi,
Rege non più (fra le vergogne e il sangue
Già da gran tempo era sepolto il trono
Su le vergogne e su le colpe eretto),



— 266 —