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canto decimoterzo

L’ora; è scoccata: alle tue ferree porte
Batte il giudizio del Signor!
                            — Che intendi?
Che oseresti tu mai?
                            — Sgombra dal petto
295La fallace paura: Iddio corregge
Pria di punire; e suo ministro io vengo,
Io, che di Dio non già, ma sol dovrei
Venir ministro della mia vendetta!
E ancor forte ti vanti? A brani io veggio
300L’inconsutile veste; ai fuggitivi
Tuoi passi il trono, il suol vacilla; e al cielo
Non ti rivolgi?
                    — Al cielo, al ciel! Tu parli
L’eretica parola! Il ciel lo lascio
Ai miei nemici; a me la terra!
                                         — E quale?
305Schiavo tu sei d’altri e di te! Mal tieni
Di Bonifazio e d’Ildebrando: hai l’ira
Dell’un, dell’altro la superbia: il senno
D’ambi ti manca e i tempi. Il destin solo
Pari ad entrambi e in uno avrai: l’eterna
310Città di Pier per te mutasi a un’ora
In Salerno ed Anagni: esule vivi,
Benchè in Roma; e alla tua guancia canuta
Stampano i Re più durature offese
Del ferrato manipolo di Sciarra.
315Deh! rivolgiti al ciel!
                           — Frate, pon fine
Al tuo sermone, e sgombra. Il cielo è patria
Dei deboli; la terra è mia! Già in armi
Sorgon Francia ed Iberia: il ceppo illustre
Dei Borboni immortali all’aura nova
320Mette nove radici; e fronde e rami
E fiori e frutta porterà: saranno



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