Non si contenne a tal parlar superbo 895L’offesa alma d’Olimpio, e: — Il nome mio,
Gridò, il saprai, ma con la spada in pugno,
S’hai fermo il core, e cavalier tu sei! —
Disse, e come alla cheta ora del vespro,
Se a’ bruni aranci del giardin, da cui 900Pendon purpurei ed odorati i pomi,
Cantarellando una canzon t’appressi,
Odi tosto un frusciar d’ali e un pispiglio
Di furbi passerelli a fuggir lesti;
Così d’Olimpio al favellar si sveglia 905Sordo intorno un susurro: e chi gli audaci
Sensi condanna; chi l’ardir ne loda;
Chi la gagliarda valentía n’esalta;
E ognun gode in cor suo, che il novo evento
Nova materia a favellar gli appresti. 910Tu sola dal profondo animo gemi,
O díafana Bice, e a lui d’intorno
Trepidante ti serri, e invan ti adopri
Dal destinato petto a svolger l’ira.
In sua tranquilla maestà spartana 915Ei si parte da te, ma non sì lesto
Da non udir queste parole acerbe
Che gli gitta l’eroe:
— Gonfia a tua posta
Di sonanti minacce il dir tuo folle,
O menestrello paladin: non uno, 920Ch’abbia intera la mente e sano il core,
Dirà men vero il mio parlare; indossa,
Se pur lo vuoi, maglia e lorica, e al filo
D’un sordo acciar la tua ragion commetti,
Ragion degna di ferro; io, fin che agli occhi 925Mi splenda il sole ed alla mente il Vero,
Ragiono e vinco, e i pari tuoi disprezzo! —