Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/209


canto undecimo

Morbidissimi figli, unico vanto
Sia la storia dei padri, e gloria intatta
La lingua! A noi diseredati ed orbi,
270A cui nascendo non ombrò le fasce
La gran torre di Giotto, a noi, se prude
Alcun genio villano entro al cervello,
Altra via non rimane, altra salute,
Che mendicar dietro al vostr’uscio il tozzo
275De le vostre merende e qualche cencio
De la vostra di frange auree guernita
Ducal librèa. Qual poverame abietto,
Che all’altrui vigna qua e là furtivo
Dopo il ricolto a raspollar si aggiri,
280Noi veniamo tra voi, nudi e digiuni,
Cui l’avara fortuna ibrida e grezza
Assentì a mala pena la parola,
Duro e barbaro gergo, atto a fatica
A dir mal di noi stessi ed implorare
285Piagnucolando allo stranier mercede.

    Ma qual prima dirò, qual dirò poi
Dei luminari, ond’ha corona e luce
Il sacro italo ciel? Seduti in giro,
Nel tempio accolti d’una Grazia etrusca,
290Come in magico specchio, ecco, me l’offre
La benevola Musa, a cui vien dato
Varcar la soglia del gentil recinto.
E qual solerte domator, che spieghi
Delle belve guardate entro a’ serragli
295La specie varia e il soggiogato istinto
E i costumi e le patrie: a bocca aperta
Stan gli attoniti astantĺ; in simil guisa
Dirò dei genj, ivi in gran folla accolti,
Le fogge, il favellar, gli atti, la fama.

    300Splende fra le notturne ombre l’augusta
Magion sacra alle muse; e avviluppata



— 205 —