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canto undecimo

85Fida il volo, e combatte; e allor che mira
L’etereo Sol, che d’amoroso dardo
Punge e ravviva al vasto essere il grembo,
Per l’aria ardente e pura
Spazíando secura,
90Gitta su la materna alpe lo sguardo.

    Egli così le inferne
Sfere lasciando e le pugnaci erini,
Che mortali accendean l’ire fraterne,
E d’ombre orride e d’ossa
95Tarda e incerta facean l’orma ai destini,
Errò, divo mendico; al ciel co’ carmi
Surse, e attinta del Ver l’aura e la possa,
A inaspettati eventi
Chiamò l’itale genti,
100Lor diè vita e parola e patria ed armi.

    Dai maledetti avelli
Balzan gli eroi; splendono al Sol gli acciari;
Quei che avversi morîr, sorgon fratelli:
Arde la pugna; stride
105L’Arpía dell’Istro; dai venali altari
L’irto Levita invan s’adopra e freme.
Viva il sabaudo allòr; vivan le fide
Schiere dei nostri eroi,
Viva tu pur, che a noi
110Desti i tuoi prodi, e a noi vincesti insieme!

    Dove sei tu? Non odi
L’aura del generoso inno, che, schivo
Di tanti ingrati, osa innalzar tue lodi?
Leva dal tuo recente
115Sepolcro il capo, e guarda ove ancor vivo,
Più del ricordo, è dei tuoi prodi il sangue.
Qui pugnâr, qui morîr, qui di fulgente
Serto ornò Italia il crine,



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