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canto decimo

Breve asilo ei cercò; si assise al desco
545Della miseria; e a te, povera Sara,
Assentì l’alto aspetto e la sdegnosa
Anima e il dir che umani petti infiamma.
Schiava infelice! Era remota e angusta
Presso al torbido rio la sua capanna;
550Era nero il suo volto e nero il crine,
Ma aperto e grande era il suo cuore, e tersa
Come raggio di Sol l’anima avea.
Fra le miserie della vita un giorno
Le sorrise l’amor. Furon men leste
555L’opere di sua mano; impazíente,
Immemore divenne; e sì com’era
Schiava due volte, osò levar la fronte
E agli augelli invidiare il volo!
Fischiò sopra alle sue carni la sferza
560Dell’acerbo signor; percosso e vinto
Dal feroce digiuno a lei da lato,
Sotto agli occhi di lei, vittima cadde
Il giovinetto del suo cor. Qual belva
Ella ruggì; morse ruggendo i ceppi;
565Avventossi d’intorno; e allor che in mesta
Calma si assise, e volse il guardo in giro,
S’avvide ognun, che a quella derelitta
Era in una all’amor mancato il senno.
Le consentîr la libertà: più tempo
570Errò, libera pazza; un dì si accorse,
Che scevra era di giogo; e se di nuovo
Co’l pianger lungo a lei fece ritorno,
Qual fido augello, la ragion smarrita,
Tosto sentì che nel suo cor deserto
575Vigile e santa una memoria ardea.
Visse d’allor limosinando, e aperta
Agl’infelici più di lei, sorrise
Come porto d’amor la sua capanna.



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