330Gracchiar di corvi e sghignazzar di Numi.
Così il lungo digiuno e la fatica
D’una ad un’altra visíon trabalza
Il pensier dell’eroe; quando, in lui fiso,
Il signor dei celesti: — Ora è stagione, 335Disse in cor suo, che il mio rival conquida! —
Gli aurei letti lasciò, senz’altro aiuto
Che il mordace desio; s’avviluppò
Nel manto, azzurro come ciel d’autunno;
Alla fredda canizie un largo impose 340Tricuspide lucente, e sotto al braccio
Un turchino assettando orbe stellato,
Simbol dell’universo, al più vicino
Dei presèpi del ciel cheto avvíossi.
Ivi, poichè di Giosuè la verga 345Del sole il cocchio a mezzo il ciel sostenne,
E impietriti restâr di sotto al giogo
I fulminei cavalli, una falange
D’umili sì ma intelligenti onàgri
Pasce in greppie d’argento orzi ed avene 350Di tal virtù, che nel lor sangue infonde
Gajo tripudio e giovinezza eterna.
Non appena sentîr sovra la soglia
La presenza del Dio, tutti in un punto
Drizzâro i colli ed affilâr le orecchie 355Lievemente anelando; e a lui rivolti
Con dolci e riverenti occhi, la voce
Del comando attendean. Videli il Nume
Lucidi e belli, e ne gioì; ma il cenno,
Che tutto può, volse a te solo, o illustre 360Asin di Betelèmme, a cui su’l dorso
(Premio dell’opra, onde immortal tu vivi)
Crescon due luminose ali, per cui,
Pregio da tutti invidíato, e solo
Da Dio concesso alle beate essenze,